Testo completo
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Bartolomeo Maranta
(Venosa Prima metà XVI secolo - Molfetta 1571)
Figlio di Roberto e di Viva Cenna, discendente di una delle più influenti famiglie della città lucana. Dalle fonti bibliografiche a disposizione, non scevre di incongruenze fra loro, non è concesso stabilire con esattezza la data della nascita, ma apprendiamo che, dopo aver coltivato, per sua naturale inclinazione, l’amore per i testi classici dell’antichità, fu avviato allo studio delle scienze, che approfondì presso lo Studio di Napoli. Nel 1550 si trasferì a Pisa raggiungendo Ulisse Aldrovrandi (1522 – 1605) con il quale fu sempre in strettissimi rapporti di amicizia testimoniati da un fitto scambio epistolare. Insieme all’Aldrovrandi assistette alle lezioni di Luca di Ghino Ghini, professore nell’ateneo pisano dal 1554 al 1555. Fu proprio quest’ultimo a disvelare al Maranta il fascino e i segreti dell’arte botanica. Nella città toscana Maranta poté apprendere dal Ghini i rudimenti dell’arte botanica e delle scienze mediche, e venne in contatto con quell’eredità culturale che era stata lasciata dal passaggio, solo qualche decennio prima, dal medico più famoso del secolo, Paracelso, attraverso la frequentazione di uno dei più fedeli discepoli, Johannes Oporinus. Proprio presso Oporino nel 1564 vedranno la luce le Lucullianae quaestiones.
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Sul fine del 1556 fu chiamato ad esercitare la professione medica al servizio del Principe Vespasiano Gonzaga. Nello stesso anno fece rientro a Napoli, dove incominciò a frequentare con una certa assiduità il Giardino Botanico che Gian Vincenzo Pinelli aveva fornito di piante esotiche e rare. Nel 1559 diede le stampe, a Venezia, il Methodus cognoscendorum simplicium medicamentorum libri tres, nel quale Maranta raccoglieva il frutto delle lezioni seguite a Pisa e, soprattutto, nel magistero di Luca Ghini e di Gian Vincenzo Pinelli. Il Methodus valse al botanico venosino l’ammirazione delle massime autorità scientifiche di quel periodo. Proprio a Napoli, tra il 1559 e il 1561, Maranta, tralasciando gli studi medico-scientifici, si dedicò quasi esclusivamente ai mai sopiti interessi letterari. A questo periodo, infatti, risalgono i manoscritti di poetica letteraria intorno a problemi di interpretazione dell’Ars Poetica di Orazio e della Poetica di Aristotele. Nel 1562, sottoposto al processo dalla Santa Inquisizione, incorse in serio pericolo, scampato anche grazie all’intervento di suo fratello Lucio, vescovo di Lavello. Nel 1568 Maranta fu a Roma al servizio del Cardinale Castiglioni della Trinità, ma già l’anno successivo dovette far ritorno a Molfetta ove vivevano i suoi fratelli. A Molfetta visse gli ultimi anni di vita, confortato ancora dall’amicizia dell’Aldrovandi, nel cui epistolario è conservata un’ultima lettera datata 9 aprile 1570, e nella medesima città morì il 24 marzo 1571. Le sue spoglie riposano nella chiesa di San Bernardino.